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Il genio del capitale umano: l’importanza delle relazioni

Come diceva Walt Disney, il genio dell’immaginazione: “Puoi sognare, creare, progettare e costruire il più bel luogo del mondo…ma per far sì che il sogno diventi realtà ti servono le persone”.

Ed è proprio partendo da questa citazione che vorrei condividere con voi qualche considerazione in merito agli enormi cambiamenti che stanno ridisegnando la geografia del mercato produttivo e distributivo legato al mondo del food e quindi anche al mondo del gelato artigianale in Italia. 

È sotto gli occhi di tutti ormai l’incidere veloce di acquisizioni di aziende di produzione e di distribuzione specializzata da parte di fondi e multinazionali. Un fenomeno non nuovo al mercato Italia che aveva già connotato nel decennio scorso il settore tessile e quello della moda, ad oggi divenuti prevalentemente di proprietà estere. Un fenomeno che sta ora toccando anche il nostro settore.

Food ( just) for profit? 

Quando si pensa al food italiano è inevitabile pensare anche alle innumerevoli ricette, specificità territoriali, tradizioni, sapori… che lo rendono unico ed irripetibile, difficilmente replicabile o ascrivibile entro modelli di conformità e omologazione. 

Una miscela fantastica di storie, narrazioni e mestieri tramandabili se non grazie al potere delle relazioni e di quel sacro passaggio di consegne e responsabilità frutto di esperienza, tanta, fiducia e reciprocità. Valori coltivati all’interno di quotidianità lavorative al cui centro ancor prima dei prodotti vi sono le persone, le stesse che sentendosi coinvolte nella costruzione degli obiettivi, ne hanno sposato le mete. 

Il nostro Paese a riguardo primeggia per aziende che negli anni si sono distinte per qualità di prodotto e innovazione: il motivo a cui si deve tale primato credo risieda in primis nel valore dato alle persone che hanno reso tali aziende così grandi. Tutte incluse, dalle persone che occupavano ruoli apicali per arrivare ai collaboratori anche meno stretti, i quali sentivano sempre e comunque di potersi riferire ad un imprenditore o a gruppo dirigenziale in cui trovare risposte ma anche confronti più o meno accesi. 

Ciò che connotava la dialettica e la crescita delle imprese di ieri era comunque la certezza di aver riferimenti chiari, percettibili, e che portavano su di sé il peso della responsabilità diretta di ciò che facevano e delle scelte che prendevano, mettendosi in gioco in prima persona. 

A fronte della progressiva sostituzione della categoria degli imprenditori con quella di manager e dirigenti ad emanazione di macro organizzazioni, è possibile oggi parlare ancora di responsabilità dell’impresa, al di là della ricerca del profitto? L’agire economico odierno può tener conto delle sue conseguenze, anche al di là del calcolo costi-benefici? 

Il sociologo Zygmunt Bauman a tale riguardo sosteneva che nel contesto moderno “l’organizzazione nel suo complesso può divenire un pericoloso strumento per la cancellazione delle responsabilità”. Riflettendo su un caso limite come quello dell’Olocausto, Bauman faceva notare come la possibilità di creare un sistema di sterminio fosse dipesa fondamentalmente da un processo sociale che creò distanza tra la disumanità che si realizzava concretamente e le vittime che subivano queste atrocità. Parcellizzando i compiti e le azioni che i “carnefici” dovevano svolgere, non venendo coinvolti nell’intero processo di sterminio, perdevano il senso e quindi la comprensione delle atrocità di cui erano gli attori. Contestando, quindi, l’ottimismo di talune considerazioni che attribuivano ai macro sistemi lo sgravio delle responsabilità quali fatti positivi nella misura in cui non solo sollevavano l’uomo da un incarico insopportabile, ma rendevano anche perfettamente funzionante l’organizzazione stessa. 

Il problema di questi apparati era (e rimane) che essi mostrano una capacità di autonomia tale da sfuggire al controllo degli uomini: in contesti di questo tipo l’attore è sovrastato da un sistema di regole tali che gli impongono che cosa deve fare e lo sollevano dalla necessità di decidere che cosa sia bene e che cosa sia male. Ed è proprio in questo senso che il principio della responsabilità viene eluso. Ecco perché il discorso di Baumann è importante: mette in luce il potenziale effetto deresponsabilizzante (parallelo a quello responsabilizzante) che le macro organizzazioni producono. 

Le società dei rischi? 

Un altro importante sociologo, Ulrich Beck, in una delle sue opere più rinomate chiamata “La società del rischio” parlava di responsabilità organizzativa, facendo riferimento all’incapacità di certe macro organizzazioni di farsi adeguatamente carico degli effetti circa le azioni prodotte sul territorio. Di fatto attualmente i problemi più gravi per il genere umano risultano essere proprio quelli che derivano dallo stesso sviluppo economico e tecnologico a cui abbiamo puntato per anni. Pensiamo al disastro climatico a cui stiamo assistendo e di cui siamo i diretti autori… 

Ciò che voglio dire è che la responsabilità d’impresa, per definirsi tale, non può solo essere dichiarata o attribuita ma deve innanzitutto essere praticata. Questa è una dimensione pragmatica della responsabilità che dipende non tanto dall’altisonanza dei nomi di talune organizzazioni o dalla loro grandezza in termini di fatturati, bensì dai soggetti (dalle persone!) che vi operano e che si fanno carico delle azioni che compiono nella realtà. Azioni che in qualche maniera sono in grado di generare cambiamento o effetti concretamente riconoscibili: innalzamento culturale, socialità, partecipazione politico civile, attenzione ecologica e di sicurezza sul territorio, promozione solidaristica, alfabetizzazione tecnologica, impegno civico, inclusione sociale…
In questa prospettiva la responsabilità appare veramente tale quando arriva sia a rivolgersi all’altro (che posso quotidianamente incontrare) sia a toccare coloro che non vedo (ma con cui condivido la mia vita). In entrambi i casi, però, perché ciò avvenga è fondamentale che alla base vi sia innanzitutto motivazione (e quindi convincimento), fiducia nell’organizzazione in cui opero, grazie alla quale agire in termini di cambiamento e benessere. Questa è la vera sfida di oggi: passare dal ben-avere al benessere (e quindi ad una rinnovata qualità di vita privata e lavorativa). Per non sentirci più soli. 

E per poterci ancora permettere di sognare, spensieratamente, un mondo migliore. Proprio come faceva Walt Disney. 

Articolo apparso sulla rivista “Gelato Artigianale” n. 374 di Luglio 2024.

di Aurora Minetti (Amministratore Unico di Puntogel Srl e Sociologa e Dottore di Ricerca in Scienze della Comunicazione) ed Emanuela Salerno (Senior Analyst Area Studi Mediobanca)